Aida (Rino Gaetano)


AIDA E’ L’ITALIA

di Riccardo Venturi

“Aida” è l’Italia. In questa canzone, difficile e splendida, Rino Gaetano ha saputo tracciare con il suo stile inimitabile e affidato alla simbologia, un affresco di tutta l’Italia contemporanea, dal fascismo alla guerra, dal dopoguerra agli scandali e alle difficoltà enormi degli anni ’70.

Per farlo, Rino scelse già nel titolo un nome simbolico. Aida. L’opera di Giuseppe Verdi scritta per celebrare l’apertura del canale di Suez (e quando si dice canale di Suez, la memoria va a strategie, a guerre, ad affari planetari). Ma anche un nome portato da centinaia di vecchiette, sulla scia dell’opera di Verdi e di una presupposta glorificazione del “genio italico” (sebbene il canale di Suez fosse stato realizzato dal francese De Lesseps, i progetti originali sembra debbano essere attribuiti all’ingegnere italiano Luigi Negrelli, che non ricevette mai nessun riconoscimento ufficiale, ma che in Italia venne a lungo considerato come il “vero realizzatore” del canale). Quindi, di autentico colpo di genio si deve parlare per la scelta di questo nome da parte di Rino Gaetano.

E si parte con i brevi versi della canzone, sciorinati uno dietro l’altro, raucamente urlati, inframezzati da alcune frasi musicali. Aida, cioè l’Italia, sfoglia il suo album di fotografie. I suoi ricordi. E non sono ricordi dolci. Sono ricordi di tabù, che vanno di pari passo con le “madonne” e coi “rosari” di una tradizione cattolica che rappresenta una parte decisiva della sua storia ed anche una parte decisiva della sua tragedia.

I “mille mari” del “mare nostrum”, delle Repubbliche Marinare le cui bandiere campeggiano nel vessillo della marina militare, della retorica del paese dei santi e navigatori. Una retorica nazionalista che ha il suo sbocco naturale nell’ “alalà” del fascismo. I simboli della canzone procedono in concatenazione storica perfetta e non risparmiano il costume (i “vestiti di lino e seta” sono, pochi lo sanno, una citazione da un cinegiornale dell’Istituto Luce sul matrimonio di Edda Mussolini e Galeazzo Ciano: “vestiti di lino e seta, dopo la cerimonia si avviano al radioso futuro di novelli sposi”.) C’è Marlene (Marlene Dietrich o Lilì Marlene, poco importa), ci sono i Tempi Moderni di Charlot e con loro il periodo tra le due guerre.

E “dopo giugno”, cioè dopo il 10 giugno 1940, data in cui Benito Mussolini si affacciò al balconcino di Palazzo Venezia per annunciare agli “italiani di cielo, di terra e di mare” che “l’ora scoccata dal destino” era giunta, ecco il “gran conflitto”, ecco l’ “Egitto” di altre retoriche guerresche (El Alamein, Giarabub…). Ecco le “marce e svastiche”, ecco i “federali” fascisti (come non tornare anche al film con Ugo Tognazzi?). Sotto i fanali, che potrebbero essere stati proprio quelli di Lilì Marlene, c’è solo oscurità. C’è l’oscuramento delle notti di guerra. C’è il buio di un futuro che non appare possibile. Il “ritorno in un paese diviso”, in un dopoguerra “più nero nel viso” in cui l’amore però ha un colore ben preciso: il rosso.

Il primo ritornello: “Aida, come sei bella”. Il primo grido, al tempo stesso ironico e terribilmente sincero, di amore a questo paese di merda. Finisce la prima parte della storia ed inizia la seconda.

La seconda parte, quella del primo dopoguerra. Battaglie e compromessi, un paese in preda alla povertà più nera, ai lavoratori che fanno la fame, allo spettro del “terrore russo” agitato a partire dal 1947. Il piano Marshall, l’esclusione dei comunisti dal governo, il 18 aprile. Con un solo brevissimo verso viene innestata la storia nei suoi mille rivoli. Basterebbe solo questo per far definire Rino Gaetano un grandissimo, e questa sua canzone un capolavoro assoluto.

Cristo e Stalìn.
Con quello “Stalìn” pronunciato popolarescamente (a volte si diceva anche “Stalino”). Il capo dell’Unione Sovietica, il faro dei lavoratori accentato come un contadino veneto. La scomunica dei comunisti da parte di Pio XII nel 1949. I carri armati russi in piazza San Pietro nel famoso manifesto elettorale della DC (“Volete che accada questo…?”).

L’assemblea Costituente. La democrazia, seguita da quel disperato “e chi ce l’ha”, quasi a dire che la democrazia in Italia nient’altro è stata che un’illusione, una facciata dietro alla quale si nascondeva l’eterno fascismo che sempre riaffiora. Ed è storia di questi giorni. E’ storia che non finisce.
Che sembra non finire mai.

“Trent’anni di safari”, di caccia grossa. La depredazione. Qui non si può fare a meno di pensare a Pasolini. Gli scandali, dalle “antilopi” della Lockheed ai “lapin” di certe dame impellicciate che facevano da pendant ai detentori del potere e che a volte ne rimanevano vittime (chi mi viene a mente? forse la patronessa Maria Pia Fanfani, forse Wilma Montesi…o forse un qualcosa a metà tra entrambe).

Aida, come sei bella. Già. Peccato che ora ti sia pure decisamente imbruttita, sconciata, istupidita. Chissà cosa avrebbe scritto Rino Gaetano se una maledetta notte di giugno non se ne fosse andato, peraltro aiutato ad andarsene proprio dallo schifo tutto italiano di non trovare un posto in un pronto soccorso. Chissà quale sarebbe stato il seguito di “Aida”. Ma è inutile chiederselo, forse. Rino Gaetano è stato rimosso. Ogni tanto si sente “Gianna Gianna”. Per situare finalmente “Mio fratello è figlio unico” nel posto dove deve stare, c’è voluto un film su una radio repressa. Il resto? Non si sa.

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